“Tutto è descritto e raccontato attraverso l’agire del corpo”

di Sandro Campani

[Sandro Campani ha pubblicato questa conversazione con il gatto Luigi, suo convivente, nella propria pagina Facebook, nei giorni 31 gennaio 2021, 1° febbraio 2021, 2 febbraio 2021, 3 febbraio 2021. Le immagini sono di Sandro Campani].

– Ti senti osservato, Luigi?
– Rifletto.
– Lo vedo.
– Sai che nella sua nota all’anteprima uscita su Satisfiction, Edoardo Zambelli dice che Mario, il protagonista de Le ripetizioni di Giulio Mozzi (Marsilio, 2021) è un uomo che rincorre se stesso? A me questa immagine – che, conoscendo Zambelli, potrebbe anche non essere un caso – ha fatto venire in mente l’agente Cooper che rincorre se stesso nella stanza rossa di Twin Peaks, dopo essersi, diciamo così, scisso in due: ci sono due Cooper, entrambi impomatati, entrambi in completo nero elegante, identici in tutto ma, per semplificare, uno ha assunto in sé il male assoluto, l’altro è buono e tenta di sfuggirgli. I due Cooper si rincorrono, passando e ripassando per le stesse stanze divise da tende, per lo stesso corridoio – e le stanze sono ogni volta le stesse, eppure sono diverse: contengono oggetti diversi, personaggi diversi; ciò che era solido è liquido, ciò che era destro è mancino; tutto è simile a se stesso, eppure differente; e alla fine, un agente Cooper raggiunge l’altro.
– Vuoi mo’ dire, che non infili subito Lynch da qualche parte?

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La felicità del servo

di Valentina Durante

[Valentina Durante ha pubblicato questa recensione nel proprio profilo Facebook il 26 gennaio 2021. Vedi il post originale].

Le ripetizioni è uscito per Marsilio da due sole settimane e già si è guadagnato una sorprendente (ma prevedibile) quantità di recensioni. Il primo romanzo di Giulio Mozzi è stato descritto come un testo frammentario, magmatico, indecidibile (romanzo tout court oppure una cornice di racconti – anzi, “storie”?). Come un’opera dedita a un citazionismo vorace e disinibito, che sconfina dal recinto letterario per abbracciare la musica, la fotografia, la pittura, in una visione estetica (non estetizzante) della vita. Come il tentativo – riuscito – di fare ciò che da un testo di finzione non ci aspetteremmo mai, perché non è ciò che in un testo di finzione cerchiamo: il riproporsi dell’illogicità della vita reale, priva di una linearità causa-effetto e dominata dal caso. Infine e conseguentemente, come la vicenda di un uomo inadatto a decifrare il reale perché è il reale in sé a essere indecifrabile: può solo accostarvisi tramite reperti (gli oggetti trovati, conservati, nascosti, esposti – che siano fotografie oppure lettere), ma soprattutto ripeterlo, in un tentativo instancabile e improduttivo di trovare una dimensione finalmente calzante. Un uomo un po’ simile a quello che Kierkegaard ci presenta nel suo Diario del seduttore:

Nulla di più tormentoso posso immaginare che la pena di un ingegno intrigante che smarrisca il suo filo conduttore; e che nel ridestarsi della coscienza, cercando di uscire dal laberinto, volga tutta l’acutezza del suo cervello contro sé stesso. Inutili gli son le molte uscite dalla sua tana da volpi: quando egli già crede di raggiungere la luce del giorno, si accorge di trovarsi in una nuova entrata, e come una fiera spaurita, nella straziante disperazione che lo incalza, sempre cerca d’uscire e sempre solo entrate ritrova che lo riconducono a lui stesso.

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