La felicità del servo

di Valentina Durante

[Valentina Durante ha pubblicato questa recensione nel proprio profilo Facebook il 26 gennaio 2021. Vedi il post originale].

Le ripetizioni è uscito per Marsilio da due sole settimane e già si è guadagnato una sorprendente (ma prevedibile) quantità di recensioni. Il primo romanzo di Giulio Mozzi è stato descritto come un testo frammentario, magmatico, indecidibile (romanzo tout court oppure una cornice di racconti – anzi, “storie”?). Come un’opera dedita a un citazionismo vorace e disinibito, che sconfina dal recinto letterario per abbracciare la musica, la fotografia, la pittura, in una visione estetica (non estetizzante) della vita. Come il tentativo – riuscito – di fare ciò che da un testo di finzione non ci aspetteremmo mai, perché non è ciò che in un testo di finzione cerchiamo: il riproporsi dell’illogicità della vita reale, priva di una linearità causa-effetto e dominata dal caso. Infine e conseguentemente, come la vicenda di un uomo inadatto a decifrare il reale perché è il reale in sé a essere indecifrabile: può solo accostarvisi tramite reperti (gli oggetti trovati, conservati, nascosti, esposti – che siano fotografie oppure lettere), ma soprattutto ripeterlo, in un tentativo instancabile e improduttivo di trovare una dimensione finalmente calzante. Un uomo un po’ simile a quello che Kierkegaard ci presenta nel suo Diario del seduttore:

Nulla di più tormentoso posso immaginare che la pena di un ingegno intrigante che smarrisca il suo filo conduttore; e che nel ridestarsi della coscienza, cercando di uscire dal laberinto, volga tutta l’acutezza del suo cervello contro sé stesso. Inutili gli son le molte uscite dalla sua tana da volpi: quando egli già crede di raggiungere la luce del giorno, si accorge di trovarsi in una nuova entrata, e come una fiera spaurita, nella straziante disperazione che lo incalza, sempre cerca d’uscire e sempre solo entrate ritrova che lo riconducono a lui stesso.

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Alberto Savinio, Oggetti nella foresta, 1928

Diario di scrittura

di Giulio Mozzi

[Questo articolo è apparso in Tuttolibri, supplemento del quotidiano La Stampa, nella rubrica Diario di scrittura, sabato 16 gennaio 2021. L’articolo in pdf].

Immaginate di avere una visione. Capita a tutti, suppongo. La maggior parte delle visioni che abbiamo si disperdono alla svelta; qualcuna resta. Immaginate dunque di avere una visione, che resti, e che vi faccia orrore. Vi fa orrore due volte: perché la cosa che c’è dentro vi fa orrore, e perché vi fa orrore pensare che voi, proprio voi, avete avuta quella visione lì.
Non vi dirò qui di quale visione si tratta: perché i finali, mi si dice, non si svelano.

Claudio Laudani, Discorso attorno a un sentimento nascente

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Immaginate poi di avere un amico pittore e di andare a trovarlo ogni tanto, nel bilocale dove vive, e di ogni tanto sedervi a guardarlo dipingere. L’amico potrebbe chiamarsi Claudio Laudani, per esempio, ed essere un vero pittore: forse non un grande pittore, ma sicuramente un vero pittore. E immaginate – fate ancora uno sforzo, vi prego – che un giorno l’amico, lavorando su una tavola di compensato con la tecnica del dripping, ovvero dello sgocciolamento, riesca – e voi non capirete mai come: «Con l’aiuto del caso», dice lui, ma non è possibile che il caso gli regali sistematicamente dei quadri così belli – a far uscire da un fondo scurissimo, quasi nero, una figura luminosa, dorata, aranciata: una figura che nasce, una specie di Venere del Botticelli, un qualcosa a metà tra un feto e un corpo di invalido, una figura piena di una sua stranissima e deforme ma vivissima vita.

E immaginate infine – questa è l’ultima immaginazione che vi chiedo, poi basta – di passare vent’anni della vostra vita a cercar di connettere la vostra visione, quella che vi fa tanto orrore, e la visione dell’amico. Entrambe sono vive in voi, una generata da voi, una da voi per così dire riconosciuta e accettata mentre l’amico la dipingeva.

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