Cronaca di un romanzo, 3

di Giuio Mozzi

L’incontro con il quadro di Claudio Laudani Discorso attorno a un sentimento nascente (di cui ho raccontato qui) non fu privo di conseguenze. Da qualche tempo andavo scrivendo nel mio diario in rete (oggi perduto) delle storielle nelle quali appariva una (prima) trasfigurazione di Claudio, che chiamavo Grande artista sconosciuto (perché Claudio è secondo me un grande artista, ed è effettivamente sconosciuto). Erano delle storielle buffe – credo, spero -, comunque certamente non serie. Ma dopo aver visto quel quadro provai a scrivere qualcosa di veramente serio su Claudio (la seconda trasfigurazione). Uscirono così dei capitoli (in prima persona) che integrai a quanto era rimasto dell’Introduzione ai comportamenti vili, e intitolai il tutto Discorso attorno a un sentimento nascente. L’idea era di continuare a presentare il protagonista – che ora, come già ho detto, portava il mio nome – come un personaggio un po’ abulico, ma la cui vita veniva sfiorata da una quantità di vite straordinarie (nel bene e nel male). Ne avevo in mente, di vite straordinarie. Il primo episodio di “sfioramento” concerneva il Terrorista Internazionale. Il cui corpo – questo era il nocciolo dell’episodio – non recava nessuna traccia di ciò che egli era stato.

Questo fu il primo spostamento. Dalle “vite straordinarie” alle “vite che non lasciano traccia sui corpi di chi le porta”. Il tema mi affascinò per un po’. Nelle prime pagine del Jean Santeuil (così è intitolato, credo dai filologi, il primo tentativo di Marcel Proust di scrivere il suo romanzo) il protagonista, appunto Jean, incontra uno scrittore famoso, da lui molto ammirato: e si stupisce di trovarlo anonimo, quasi dozzinale, completamente diverso dall’artista che aveva immaginato a partire dai libri (cito a memoria e spero di non sbagliare). Così noi spesso ci stupiamo nell’incontrare persone che, per così dire, non assomigliano alla loro vita (o almeno: non lasciano trasparire quella che noi immaginiamo essere la loro vita vera). Ma la vita, in effetti, che tracce lascia sul nostro corpo? In tutti noi, credo, giace un’idea un tantino ottocentesca, in un certo senso lombrosiana (un lombrosismo rovesciato), per cui se una persona ha attraversato certe esperienze particolari, o addirittura eccezionali, o è stata capace di creare grandi opere, o di commettere grandi delitti, eccetera, di tutto ciò nel suo corpo una traccia *deve* esserci.

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