“Il corpo è un’esistenza ingombrante”

Giorgione, Le tre età dell’uomo.

di Noemi De Lisi

[Questa intervista a cura di Noemi de Lisi è apparsa in Morel – Voci dall’isola il 27 gennaio 2011. Vedi l’articolo originale].

Giulio Mozzi è considerato uno dei maestri della forma breve e brevissima del racconto italiano. Direttore della Bottega di narrazione a Milano, da anni si dedica all’insegnamento della scrittura. Insegnamento, divinazione, oracolo umano e poi tascabile (cfr. Oracolo manuale per scrittrici e scrittori, Sonzogno, 2019 e Oracolo manuale per poete e poeti scritto con Laura Pugno, Sonzogno, 2020). È stato consulente e curatore, per diverse case editrici fra cui Einaudi Stile Libero e Marsilio. Attualmente è responsabile della nuova collana fremen per Laurana editore. Esordisce con la raccolta di racconti Questo è il giardino, (primo editore Theoria) nel 1993 vincendo il Premio Mondello Opera Prima. Tre anni dopo va in finale al Premio Strega con la raccolta La felicità terrena (Einaudi). Continua a scrivere racconti e poesie. Fra le altre cose pubblica due delle sue raccolte più famose: Il male naturale, (Mondadori,1998) e Fiction (Einaudi, 2001). Di recente è uscito Un mucchio di bugie. Racconti scelti 1993-2017 (Laurana, 2020).

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“Il mio scopo è: far arrivare chi legge fino in fondo alla storia”

Claudio Laudani, Discorso attorno a un sentimento nascente

[Questa intervista a Giulio Mozzi, condotta da Elisabetta Michielin, è apparsa il 2 febbraio 2021 nella rivista PulpLibri. Vedi l’articolo originale].

Cominciamo dall’oggetto: l’immagine di copertina mi sfugge completamente. Perché il quadro [Discorso attorno a un sentimento nascente, di Claudio Laudani, riprodotto qui sopra] del Grande Artista Sconosciuto (Gas, uno dei personaggi del libro) che peraltro è, secondo le tue parole, scritte in un post sulla genesi del romanzo, una delle due visioni che ti hanno accompagnato nella composizione e stesura del libro per ben 23 anni, non compare nella copertina e compare all’interno in un mortificante b/n?

Ti dirò: per molto tempo ho pensato al quadro di Claudio Laudani Discorso attorno a un sentimento nascente come all’unica immagine possibile per la copertina del romanzo. Addirittura, nel punto del testo in cui arrivavo a nominare il quadro c’era un inciso: “(che vedete riprodotto nella copertina di questo libro”). Mi divertiva, confesso, il gioco sul “dentro” e il “fuori” del libro. Ma poi accaddero tre cose. Uno: l’editore trovò quel quadro poco adatto alla copertina, per motivi squisitamente grafici: e la copertina, si sa, è territorio dell’editore. Due: mi ricordai di un passaggio del primo romanzo di Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, nel capitolo cinque, dove il protagonista-narratore (che nei capitoli precedenti si è addormentato in vari luoghi) dice: “Più tardi apro un romanzo pieno di puntini di sospensione tra una parola e l’altra; ogni tanto quei puntini sono un vuoto allo stomaco, come superando una cunetta in macchina. Ad uno di quei dossi non torno più giù, e per la prima volta in questo libro mi addormento anche in un letto”; e mi ricordai che quel “per la prima volta in questo libro” mi aveva infastidito, come una leziosità. Tre: mi interrogai – forse per la prima volta seriamente, essendo ormai in vista della pubblicazione – sulla natura precisa della relazione tra alcuni personaggi del romanzo e le persone reali dei quali tali personaggi sono, più o meno manifestamente, trasfigurazioni. Queste tre cosette mi persuasero che il quadro doveva stare dentro al romanzo, non fuori; e dopo qualche tentativo decisi che la posizione giusta era quella, per così dire, dell’esergo. Quanto al bianco e nero, allargo le braccia: non me la sono sentita di chiedere all’editore una pagina a colori.

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