“Volevo scrivere un romanzo impeccabile”

di Giulio Mozzi

[Questo articolo è apparso in Letteratitudine il 3 febbraio 2021. Leggi l’originale].

Le ripetizioni è un romanzo ambizioso. La frase che ho avuta in testa per quasi due anni, diciamo tra l’autunno del 2018 – quando sono stato spinto da Greta Bertella a riprendere in mano certe vecchie carte – e il 30 luglio del 2020 – quando ho consegnato all’editore il romanzo finito – è: «Voglio fare un romanzo impeccabile». Mettetevi nei miei panni. Sono nato nel 1960. Come scrittore ho dato il meglio di me – per comune giudizio – con le raccolte di racconti che ho pubblicate negli anni Novanta: Questo è il giardino, 1993, La felicità terrena, 1996, Il male naturale, 1998; ai quali si può aggiungere, ma il giudizio comune lo mette in secondo piano, Fiction, 2001. Negli anni successivi ho pubblicato, con un ritmo sempre più lento, libri sempre più difficili da classificare: dei prosimetri, come Fantasmi e fughe, 1999, e La stanza degli animali, 2010, un poema, Il culto dei morti nell’Italia contemporanea, 2000, e altri libri in versi; una raccolta di novelle brevissime, Sono l’ultimo a scendere, 2009, e un libro e metà strada tra teatro, novella e poesia, Favole del morire, 2015. Inoltre: fin dal 1993 mi sono dato all’insegnamento di quella cosa che viene orribilmente chiamata «scrittura creativa», e che altro non è che la pratica della letteratura; dal 1998 ho lavorato nell’editoria, soprattutto come scout, facendo da levatrice a qualcosa di più di un centinaio di romanzi.

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Cronaca di un romanzo, 5

di Giulio Mozzi

A stretto giro Edoardo Zambelli (vedi) rispose. La sua risposta fu semplice. Tu hai dei personaggi che hanno delle storie piuttosto slegate tra loro, mi disse. Prova a dividere il romanzo in parti: una parte con la storia del Gas (di Mario e il Gas), una parte con la storia di Bianca (di Mario e Bianca), una parte con la storia di Santiago (di Mario e Santiago); e poi magari una parte con la storia di tutti gli altri (il Terrorista Internazionale, il Capufficio, il generale Luigi Cadorna, eccetera). Non badare, disse Edoardo, all’ordine cronologico, visto che il tuo personaggio principale, Mario, non fa che tornare sempre sugli stessi errori, visto che vive in una specie di tempo sospeso.
Ascoltai. Eseguii. Stampai tutti gli scartafacci, sparpagliai i fogli sul tavolo della cucina, e comincia a rimescolare. Feci quattro pacchetti di fogli, secondo l’indicazione di Edoardo. Alcuni capitoli dovetti sforbiciarli, perché appartenevano in parte a una e in parte a un’altra storia. Restava fuori, com’era sempre restata fuori, come una cosa a parte, la mezza lettera – che ipoteticamente poteva essere anche indirizzata a Mario, volendo. Misi insieme il tutto, feci dei fogli con i titoli (Storia di Mario e Bianca, Storia di Mario e del Gas, eccetera), e torna in studio a fabbricare un file unico. In cima a ogni capitolo misi un numero progressivo.

Mi fece accorgere Greta, o mi accorsi da me, non mi ricordo più, che in questo modo l’arco narrativo scompariva. O meglio: avrei dovuto costruirne uno per ciascuna parte, per ciascuna storia. Allora feci il passo decisivo: i capitoli con la storia del Gas li titolai Storia del Gas, 1, Storia del Gas, 2, eccetera; quelli di Bianca Storia di Bianca, 1, eccetera. I capitoli in cui c’era Mario da solo si svolgevano tutti in treno (il primo racconto da me scritto in cui il protagonista ideale è Mario, Treni, compreso nel libro Questo è il giardino del 1993, si svolge appunto in treno), e si chiamarono Storia dei viaggi in treno, 1, eccetera. Alcuni capitoli potevano prestarsi a doppie titolazioni: così vennero fuori capitoli come La storia di Bianca, 1 (La storia dei viaggi in treno, 3), e simili.

A quel punto, potevo intrecciare le storie. A voi sembrerà una cosa elementare, anche banale, ma per me fu una vera scoperta. Non so quante volte ho compiuto operazioni simili su romanzi altrui: decine, credo. Tuttavia, lavorare sul proprio romanzo è una cosa completamente diversa. L’ho visto tante volte: ci sono autori lucidissimi su tutto, e sono pochi, e ci sono autori che hanno, per così dire, una lucidità parziale; sono lucidissimi, ma hanno delle zone di cecità. Io per quasi vent’anni non ero stato lucido quasi mai; in quel momento mi sembrò di aver trovato la lucidità.

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