Vita di Mario (raccontata da lui medesimo)

di Franco Foschi

[Questa recensione mi è stata inviata privatamente, con permesso di pubblicazione, dall’amico Franco Foschi].

Chi l’ha detto che le vite, tutte le vite, non possano essere raccontate? Gli storici forse, che campano della frustrazione di non poter scrivere o descrivere tutto quel che è successo e a chi. Ma il narratore. Il narratore ha delle possibilità sconfinate, epperò è solo il narratore bravo che sa esplorarle al meglio. Che sa imbricarle l’una nell’altra, che le moltiplica da un nonnulla, che ci infioretta sopra quel che gli pare – ecco l’infinita, e un po’ spaventosa, libertà di scrivere.

Di storie, Mozzi, ne ha a bizzeffe, e sa come cucinarle. Ci ricorda che la Storia è fatta di storie, e che abbiamo sempre, incessantemente, bisogno di sentirle raccontare. Il problema è come mischiarle e farne un unicum che possa venire definito romanzo.

Come lo ha risolto, Mozzi, questo problema?

Si inizia con una evidente dichiarazione d’intenti: ventuno pagine dense, compatte, senza respiro, con la memoria come ospite invadente e che ti immobilizza. A dire ehi, amico, non credere di trovarti a scorrazzare dentro un romanzo per educande, o fatuo, leggiadro e infine rassicurante: na-na, qui ci si tormenta se necessario, si lambiscono i territori della psichiatria, e si da fastidio, non si rinuncia al grigio e al nero se necessario, non si indugia sul particolare ma si preferisce guardare direttamente giù nell’immensità dell’abisso, se necessario. Del resto Mozzi, nei suoi tanti anni di poca narrativa, ci ha introdotti a fondo ne il male naturale (il titolo è suo), per cui siamo preparati a una visione cupa, ancora una volta se necessario.

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“Tutto è descritto e raccontato attraverso l’agire del corpo”

di Sandro Campani

[Sandro Campani ha pubblicato questa conversazione con il gatto Luigi, suo convivente, nella propria pagina Facebook, nei giorni 31 gennaio 2021, 1° febbraio 2021, 2 febbraio 2021, 3 febbraio 2021. Le immagini sono di Sandro Campani].

– Ti senti osservato, Luigi?
– Rifletto.
– Lo vedo.
– Sai che nella sua nota all’anteprima uscita su Satisfiction, Edoardo Zambelli dice che Mario, il protagonista de Le ripetizioni di Giulio Mozzi (Marsilio, 2021) è un uomo che rincorre se stesso? A me questa immagine – che, conoscendo Zambelli, potrebbe anche non essere un caso – ha fatto venire in mente l’agente Cooper che rincorre se stesso nella stanza rossa di Twin Peaks, dopo essersi, diciamo così, scisso in due: ci sono due Cooper, entrambi impomatati, entrambi in completo nero elegante, identici in tutto ma, per semplificare, uno ha assunto in sé il male assoluto, l’altro è buono e tenta di sfuggirgli. I due Cooper si rincorrono, passando e ripassando per le stesse stanze divise da tende, per lo stesso corridoio – e le stanze sono ogni volta le stesse, eppure sono diverse: contengono oggetti diversi, personaggi diversi; ciò che era solido è liquido, ciò che era destro è mancino; tutto è simile a se stesso, eppure differente; e alla fine, un agente Cooper raggiunge l’altro.
– Vuoi mo’ dire, che non infili subito Lynch da qualche parte?

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La felicità del servo

di Valentina Durante

[Valentina Durante ha pubblicato questa recensione nel proprio profilo Facebook il 26 gennaio 2021. Vedi il post originale].

Le ripetizioni è uscito per Marsilio da due sole settimane e già si è guadagnato una sorprendente (ma prevedibile) quantità di recensioni. Il primo romanzo di Giulio Mozzi è stato descritto come un testo frammentario, magmatico, indecidibile (romanzo tout court oppure una cornice di racconti – anzi, “storie”?). Come un’opera dedita a un citazionismo vorace e disinibito, che sconfina dal recinto letterario per abbracciare la musica, la fotografia, la pittura, in una visione estetica (non estetizzante) della vita. Come il tentativo – riuscito – di fare ciò che da un testo di finzione non ci aspetteremmo mai, perché non è ciò che in un testo di finzione cerchiamo: il riproporsi dell’illogicità della vita reale, priva di una linearità causa-effetto e dominata dal caso. Infine e conseguentemente, come la vicenda di un uomo inadatto a decifrare il reale perché è il reale in sé a essere indecifrabile: può solo accostarvisi tramite reperti (gli oggetti trovati, conservati, nascosti, esposti – che siano fotografie oppure lettere), ma soprattutto ripeterlo, in un tentativo instancabile e improduttivo di trovare una dimensione finalmente calzante. Un uomo un po’ simile a quello che Kierkegaard ci presenta nel suo Diario del seduttore:

Nulla di più tormentoso posso immaginare che la pena di un ingegno intrigante che smarrisca il suo filo conduttore; e che nel ridestarsi della coscienza, cercando di uscire dal laberinto, volga tutta l’acutezza del suo cervello contro sé stesso. Inutili gli son le molte uscite dalla sua tana da volpi: quando egli già crede di raggiungere la luce del giorno, si accorge di trovarsi in una nuova entrata, e come una fiera spaurita, nella straziante disperazione che lo incalza, sempre cerca d’uscire e sempre solo entrate ritrova che lo riconducono a lui stesso.

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“Fondamentalmente, un romanzo che parla d’amore”

di Alessandra Nobile

[Questa nota è stata pubblicata da Alessandra Nobile nel suo profilo Facebook. Vedi l’originale].

Le ripetizioni, il primo romanzo di Giulio Mozzi, già autore di numerose opere di racconti e noto insegnante di scrittura, è un libro complesso e interessantissimo. Credo che questa sia un’opera talmente ricca di significati da essere capace di far risuonare in modo diverso l’immaginario di ciascun lettore. E, come per un prisma, non è possibile coglierne contemporaneamente tutte le facce, ma è auspicabile, a mio parere, cercare di mettere bene a fuoco ciò che ognuno riesce a coglierne.

Per me che ho la fissa della coppia, che ho il pallino di studiare le dinamiche di coppia, cosa che per anni ho fatto come psicoanalista, il romanzo di Giulio Mozzi è, fondamentalmente, un romanzo che parla d’amore. O meglio, un romanzo che parla delle difficoltà che l’individuo può incontrare, lungo il suo percorso di vita, a far nascere e a rendere concreto il suo sentimento per un’altra persona, e ad avvicinarsi, attraverso quel sentimento, a sé stesso.

Mario, il protagonista, scrive e edita romanzi, ha fatto della parola, della parola letta e della parola scritta, il suo modo di relazionarsi alla vita. Mario è, come tutti noi, alla ricerca di sé e, come tutti noi, è curioso e allo stesso tempo terrorizzato da quello che potrebbe trovare. La paura più grande di Mario è quella di pronunciarsi, di pronunciarsi in prima persona. Cerca relazioni che lo confermino nella passività, relazioni dove sia l’altro a decidere, a pronunciarsi, ad ordinare, e dove a lui spetti soltanto eseguire, senza farsi troppe domande, anzi, senza farsene alcuna.

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Lucian Freud, Autoritratto incompiuto

Vince il male

di Manuela Mazzi

[Questa recensione è apparsa nel blog di Manuela Mazzi il 15 gennaio 2021. Leggi l’articolo originale].

Le ripetizioni atteso e quasi insperato romanzo di Giulio Mozzi è uscito ieri nelle librerie per l’editore Marsilio. Un libro pericoloso, un libro che mi ha fatto un sacco di male. Da qui, la bravura autoriale. Se uno scrittore può fare con le parole ciò che ha fatto Giulio Mozzi con me lettrice, deve per forza essere bravo, considerata la mia dichiarata incapacità di «emozionarmi» con la letteratura. E io glielo riconosco: ha scritto un romanzo pazzesco a pluriinneschi ritardati fattualmente devastanti. Questo romanzo è il male.

Non lo rileggerò.

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“Una inusuale declinazione del concetto di passione”

Il 26 dicembre 2020 Emanuela Canepa, scrittrice, collega nella Bottega di narrazione, e amica, ha pubblicato in Facebook questa nota; che con il suo permesso riporto.

Emanuela CanepaGiulio Mozzi, prima di incontrarlo in carne e ossa, è stato per me come per molti un rilevante satellite orbitante nella costellazione della Repubblica delle Lettere. Se scrivi, o se vuoi scrivere, non puoi evitare prima o poi di imbatterti nel suo nome. Su di lui circolano leggende che dicono tutto e il contrario di tutto, e io per prima ho fatto esperienza diretta di come possa trasformarsi, ritengo suo malgrado, in una creatura proteiforme dell’immaginario. Anni fa l’avevo intravisto in giro, anche perché viviamo nella stessa città, Padova, seguendo alcune lezioni in rete oppure all’interno di qualche evento culturale. Il mio primo contatto diretto però è stato telefonico. Gli mandai il manoscritto de L’animale femmina e lui lo lesse pochissimo tempo prima della finale del premio Calvino. Mi telefonò alla vigilia della cerimonia. Ricordo che ero già a Torino, e che faceva un caldo maledetto. Mi disse diverse cose sul libro, e io, per quel che posso ricordare perché ero piuttosto frastornata dalla consapevolezza di essere in finale, le trovai tutte molto belle. Soprattutto però, e questo mi colpì molto, ricordo di aver pensato che era una persona gentile. Ho una debolezza assoluta per la gentilezza. Una persona gentile da me può ottenere quasi tutto.

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