di Tina Guiducci
[Questo articolo è apparso nella Gazzetta di Mantova il 29 gennaio 2021. L’articolo in pdf].
I personaggi del romanzo hanno straordinarie capacità ma volutamente si opacizzano come pure i fatti narrati tornano a un binario morto. Giulio Mozzi arriva a pubblicare il suo primo romanzo dopo 23 anni di lavoro, numerose raccolte di racconti, una brillante carriera di consulente editoriale, almeno un paio di generazioni di aspiranti scrittori indirizzati verso la loro passione. Cosa aspettarsi, quindi? Né più né meno un capolavoro, e Le ripetizioni lo sono. La poetica di Mozzi si palesa dalla prima pagina, dove par che dica al lettore: sei un prescelto, preparati a riconoscere citazioni e rimandi dei miei autori più amati, preparati a una storia che comincia molto dopo il primo capitolo, a incontrare personaggi che hanno uno straordinario potenziale (si potrebbe far una collana di romanzi per ciascuno di loro) ma che non evolvono anzi, più ne racconto più si opacizzano, i loro tratti si mescolano; infine troverai un menù così speziato che i vecchi racconti “cannibali”, in cui sangue, sesso, paura e violenza finivano in un gran bollito splatter, qui ritornano e paiono per un attimo di nuovo veri (come ai tempi sembravano).
Conosciamo Mario, ha un lavoro nell’editoria; conosciamo Viola di cui Mario si innamora al punto di volerla sposare; e poi Bianca di cui Mario è innamorato da quando, senza cercarla, la trova in una foto (dicevamo che l’acqua qui scorre al contrario); e poi Agnese, figlia di Bianca e forse di Mario; e Santiago, di cui Mario è succube. Tutto accade il 17 giugno, molte occorrenze del 17 giugno, compleanno di Mario. Ma la data non mostra mai il suo vero senso. E la storia – che potrebbe andare avanti per sempre se Mozzi non dicesse adesso basta – resta ferma dov’è, tenendo legato il lettore a finti scatti, dialoghi che tornano al via, descrizioni composte da “una congerie di dettagli inessenziali”, fatti che potrebbero aprire una breccia nel racconto ma imboccano un binario morto. Dove si nasconde il capolavoro? Nella decisione suprema di non raccontare più, di non suggerire un giudizio, una morale, di non affrontare mai la situazione ma di assistere: Mario «non assistendo di persona (…) assisterà raccontando. Raccontando aiuterà gli avvenimenti ad avvenire nel mondo». E la storia così si afferra col muso la coda, e si spalanca.